Loro sono i The Light Drown, una band romana tra il punk-rock e l’alt rock, con dei testi profondi e impegnati. Sono usciti a bomba con il primo singolo PER ME grazie alla produzione di Divi dei Ministri e hanno già lasciato un segno parlando della precarietà giovanile che sta soffocando i sogni e privando ragazze e ragazzi della loro sfera emotiva e affettiva.
E infatti già con AMORE KAMIKAZE, terzo singolo uscito si parla di sentimenti ma non quella roba fiabesca e romanzata, ma il sentimento crudo e difficile. In attesa dei loro prossimi live li abbiamo intervistati.

Con i primi singoli che avete fatto uscire avete subito centrato l’attenzione su delle questioni sociali importanti per i giovani. Con Per Me si parla delle conseguenze emotive del precariato e della disoccupazione. Amore Kamikaze è un’altra canzone che davvero spacca.
Quindi i The Light Drown si sono presentati bene anzi con un punk rock maturo. Voi che dite?
Per noi è fondamentale che i testi abbiano un significato profondo. Vogliamo lasciare all’ascoltatore qualcosa su cui riflettere, uno spunto che possa restare con lui anche dopo l’ascolto. Le nostre canzoni sono lo specchio delle esperienze che viviamo e abbiamo vissuto. Finché ne avremo la possibilità, continueremo a portare avanti la nostra musica e i nostri pensieri con sincerità e passione.
State facendo un album quindi? Avete in mente qualcosa di più? Che progetti avete nel 2025?
Sì, stiamo lavorando a un album e uscirà a marzo. Siamo super carichi e non vediamo l’ora.
Per il futuro? Speriamo davvero di riuscire a suonare il più possibile in giro.
Per noi la cosa più bella di fare musica è proprio portarla dal vivo.
Un opinione sulla scena attuale della Gen Z, emo, emo-punk e pop punk. Cosa vi piace e cosa cambiereste?
Abbiamo un rapporto di amore e odio con la scena attuale.
Da un lato, siamo contenti che generi come l’emo, l’emopunk e il pop punk stiano tornando in auge e stiano trovando nuova linfa. Dall’altro, però, sentiamo che manca qualcosa.
Notiamo che spesso si dà poca importanza al suonare davvero uno strumento, al viverlo come parte di sé. Per noi lo strumento è sempre stato un’estensione del nostro essere, come se fossimo un tutt’uno con lui.
Ecco, forse la cosa che cambieremmo è proprio l’approccio alla musica: per noi è una forma di devozione, una passione viscerale, mentre a volte sembra diventare solo un mezzo per raggiungere altro.
